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BITE DENTI: QUANDO REALMENTE È CONSIGLIATO IL SUO UTILIZZO?

Posted On 22 Luglio 2021

Quante volte capita di parlare con un amico che riferisce di portare un bite solo perché lo fanno tutti e sono pubblicizzati in TV? Che follia diremo noi! Conoscete qualcuno disposto a curare una patologia al cuore o una ipercolesterolemia solo perché va di moda?
Noi, dalla parte dei medici, non vorremmo mai sentirci dire che gli articoli scientifici autorevoli sostengono questo tipo di terapia!


Per capire effettivamente se è necessario l’utilizzo di un bite dentale partiamo dalle origini e spieghiamo cos’è e per quali terapie mediche è consigliato il suo utilizzo.

COS’È UN BITE E A COSA SERVE?

Il bite o splint è un dispositivo medico su misura rimovibile progettato dall’odontoiatra, realizzato in laboratorio ed applicato ad un’intera arcata dentale superiore o inferiore allo scopo di interferire a fini diagnostici e/o terapeutici nella relazione intermascellare. In altri termini, si tratta di un apparecchio che va ad influire sulla chiusura dei denti superiori su quelli inferiori. Solitamente è suggerito dal dentista nei casi di dolore a livello del viso. Tuttavia, purtroppo, i sintomi del paziente non sono inquadrabili in una precisa classificazione, ma necessitano di una accurata diagnosi.

Parliamo quindi di situazioni inquadrabili all’interno dei Disordini Temporomandibolari.

COSA SONO I DISORDINI TEMPOROMANDIBOLARI?

Per Disordini temporomandibolari (DTM ) si intende un eterogeneo gruppo di patologie e problemi clinici del
 sistema masticatorio che traggono la loro origine nella muscolatura masticatoria e/o nell’articolazione temporo-mandibolare e nelle strutture ad esse associate.

La terapia consigliata per i DTM dovrebbe essere sempre reversibile, ovvero con possibilità di “tornare sui propri passi”, per cui sono sconsigliate pratiche come il molaggio selettivo, la ricostruzione protesica ed trattamento ortodontico.

La terapia con placca (bite), invece, indipendentemente dal tipo di placca, porta ad un miglioramento e riduzione dei sintomi dei DTM.

Le placche quindi, funzionano empiricamente, ma la comunità scientifica non ha ancora unanimità di vedute circa il preciso motivo del perché ciò accada.

Il bite di più largo impiego è la placca di Michigan e propone i seguenti meccanismi d’azione:

  • Rimozione di interferenze occlusali
  • Riduzione del tono dei muscoli elevatori
  • Aumento della dimensione verticale
  • Riduzione delle attività parafunzionali ( serrare i denti, bruxare )
  • Azione placebo
  • Modifica della percezione orale

La placca di Michigan trova indicazione come protezione dei denti in pazienti che parafunzionano, ossia che esercitano un’attività muscolare non finalizzata all’adempimento di un’azione precisa, mentre la placca di stabilizzazione è impiegata nei pazienti con artrosi all’articolazione temporomandibolare.

La placca di riposizionamento viene da alcuni utilizzata per ridurre lo schiocco che si sente a livello dell’articolazione quando si apre la bocca, ad esempio per mangiare. Bisogna ricordare, tuttavia, che la scomparsa del rumore non corrisponde sempre alla risoluzione della patologia.

Funzionano quelli venduti delle farmacie?

Il bite preformato non solo non è indicato, ma il suo utilizzo nei pazienti con DTM, il più delle volte, può portare ad un peggioramento dei sintomi.

Cosa bisogna fare allora?

Prima di iniziare una terapia con le placche, come per qualsiasi altra terapia nel mondo medico, è necessaria una diagnosi. Il primo approccio deontologicamente corretto, in questo caso, consiste nell’utilizzare una terapia cognitivo comportamentale e fisioterapica.

Scritto da Medicapp Developer Ida Marini

Professoressa Università di Bologna Direttrice Poliambulatorio Studio associato Marini

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